“E guardo il mondo da un oblò …” suonava una famosa canzone degli anni 80’ e dopo diversi anni trascorsi a lavorare in questo mondo, sento che questa è la metafora più autentica.
CHE COS’E’ L’AUTISMO?
Con le recenti revisioni del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, si parla di “Disturbi dello Spettro Autistico” (ASD) riferendosi ad un disturbo del neuro-sviluppo che coinvolge principalmente linguaggio, comunicazione ed interazione sociale. I diversi livelli di compromissione delle varie aree, generano uno spettro poliedrico con manifestazioni cliniche diversificate (DSM-5, 2013).
Ciò che accomuna le varie sfumature dell’autismo sono i deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale, gli interessi ristretti e i comportamenti stereotipati e ripetitivi, che in ogni individuo si manifestano in modo differente.
COME NASCE L’AUTISMO?
La nascita dell’autismo come diagnosi clinica risale all’inizio del XX secolo, fu lo psichiatra infantile Leo Kanner ad utilizzarla per la prima volta, in riferimento ad un giovane paziente che si presentava “più felice quando era lasciato solo”, “che ignorava le cose che lo circondavano”, “che sembrava vivere dentro di sé, come in un guscio”. Kanner diagnosticò al giovane Donald Triplett un “disturbo autistico da contatto affettivo.
PRINCIPALI SINTOMI DELL’AUTISMO
Oggi sarebbe più corretto parlare di “Autismi”, perché le modalità con cui si esprime il disturbo sono molteplici. Ad ogni manifestazione corrisponde un diverso grado di gravità in base al livello di compromissione dell’autonomia nella vita quotidiana.
Accanto alla sintomatologia di base, le persone affette da autismo possono presentare disturbi sensoriali nei confronti di rumori e suoni, con movimenti del corpo ripetitivi e stereotipati, come dondolio, auto stimolazione o battito di mani. Scarsa autonomia personale e sociale e comportamenti aggressivi autodiretti o eterodiretti.
La mancanza di intuizione si traduce nella difficoltà a sviluppare empatia, così come a tollerare gli imprevisti e i cambiamenti di routine.
Per le persone autistiche è difficile comprendere il pensiero altrui ed esprimersi con parole, gesti o con l’utilizzo dei movimenti facciali.
Il linguaggio verbale non è sempre sviluppato e quando è presente può risultare bizzarro o privo di senso. Ciò perché la comunicazione in entrata è compromessa e diventano incomprensibili l’ironia e le metafore.
Infine è alta la percentuale di comorbidità con altri disturbi di tipo psichiatrico e neurobiologico, come epilessia o ritardo mentale.
ORIGINE E FATTORI DI RISCHIO
La prima domanda che le famiglie ci rivolgono è “Cosa ha causato l’autismo in mio figlio?”
E… la frustrazione più grande (di noi operatori e delle famiglie) e accettare che ad oggi una risposta semplice ed univoca non c’è! Essendo un disturbo complesso e relativamente giovane, la ricerca è in piena sperimentazione. Ad oggi ciò su cui i ricercatori sono concordi è che lo sviluppo dell’ASD è dato dalla combinazione di 3 principali fattori di rischio:
- genetico
- ambientale
- differenze nella biologia cerebrale
Dalla diversa combinazione di questi tre fattori si generano i diversi spettri del disturbo autistico.
Quando e come cogliere i primi segnali
I primi segnali si manifestano sin dai primi anni, attraverso difficoltà nell’area della comunicazione e della relazione, ma con una duplice insorgenza:
- alcuni bambini mostrano segni sin dalla nascita;
- alcuni bambini hanno un iniziale sviluppo normotipico, per poi presentare i primi sintomi tra i 18 e 36 mesi.
Tuttavia per poter confermare una diagnosi di ASD e necessario attendere i 3 anni di vita.
Ciò perché è fondamentale tenere in considerazione i tempi di sviluppo soggettivi di ogni bambino. Alcuni raggiungono le tappe evolutive in anticipo, altri nei giusti tempi, altri ancora con un lieve ritardo.
diagnosi precoce ed etichettamento
La clinica ci insegna che un intervento precoce è fondamentale per sviluppare l’autonomia necessaria a garantire un’adeguata qualità di vita. Sento però importante condividere una riflessione delicata e complessa (come del resto è il Disturbo dello Spettro Autistico) su quello che possa essere l’intervento precoce più utile.
Inserire in un macro pentolone, che è l’ASD, una molteplicità di manifestazioni psicopatologiche comporta tanti vantaggi quanti rischi. Se da un lato ciò consente valutazioni, diagnosi e servizi di cura molto precoci, dall’altro proprio questa precocità, per certi aspetti ansiogena, preclude una dettagliata valutazione relazionale del sistema familiare.
Nel lavoro con i bambini e le loro famiglie, è necessario tener conto di due dimensioni fondamentali:
il sintomo del bambino è la voce delle difficoltà familiari,
l’etichetta diagnostica è un “marchio” che inevitabilmente connoterà la narrazione che il bambino e la famiglia svilupperanno reciprocamente.
Nella clinica troppo spesso si assiste all’attribuzione di diagnosi precoci, per quelle sintomatologie definite “Border”. Sintomatologia che potrebbe assumere all’interno del contesto familiare, un nuovo senso relazionale, e non essere più relegata ai “confini”, ma diventare un elemento centrale del funzionamento della famiglia. Guardando con occhi inediti, non vedremmo più “il bambino con difficoltà”, bensì “un bambino che insieme alla famiglia sta attraversando un momento di difficoltà”.
Ricordiamoci, inoltre, che secondo il processo diagnostico, così come definito nel DSM-5, è possibile effettuare diagnosi di ASD dai 3 anni.
inclusione è la parola chiave
Se è vero che dall’autismo non si guarisce (perché non è una malattia ma una modalità di funzionamento) è altrettanto vero che un intervento precoce e globale può garantire miglioramenti significativi ed un aumento della qualità di vita, sia del soggetto che della famiglia.
Ciò è possibile solo sostituendo una visione individualizzata (che si focalizza sul soggetto autistico) con una visione globale e complessa che includa la famiglia, la scuola e la comunità tutta.
L’autismo non si identifica con una condizione di difficoltà, bensì con un modo “diverso” di percepire e vivere la realtà e in quanto tale, rappresenta la nuova sfida educativa, umana ed inclusiva a cui siamo chiamati. Che sia per tutti non solo una necessità ma anche uno stimolo creativo per poter includere le varie intelligenze e contaminarsi della diversità.
Ricordiamoci che i bambini e gli adolescenti di oggi saranno gli adulti del domani!!!
Prepariamo una società che consentirà loro di poter essere la versione migliore di Sé!
Supportiamo ed educhiamo le famiglie in tutte le fasi di vita, affinché abbiano a disposizione le risorse materiali, emotive e relazionali necessarie!
… guardiamo il mondo da un’oblò…
Con la parola INCLUSIONE si indica la possibilità di vivere delle esperienze ed apprendere da esse, insieme all’altro! Non il semplice essere seduti accanto!
Il rischio che sento sempre molto forte quando lavoro nel mondo delle disabilità e dell’autismo in particolare, è quello di tendere ad un’omologazione “normotipica”, che non rispetta l’individualità e la soggettività.
Pensare ad una società inclusiva vuol dire progettare degli spazi con sonorità e luci adeguate; delle classi con un numero appropriato di studenti; dei laboratori “sulle qualità speciali” (in cui mostrare le proprie doti canore, pittoriche, o mnemoniche); organizzare progetti di alfabetizzazione emotiva, con i compagni di classe e con i colleghi di lavoro, in cui imparare a sviluppare le capacità empatiche.
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